6 novembre 2014
Sostanza e Forma/2 : i materiali di riporto e l’eteromorfismo della norma
In passato, la comparsa di forme eteromorfe era interpretata come una fase di “senescenza” genetica del gruppo, che preludeva ad un evento di crisi: l’aggettivo utilizzato per definire queste forme era: aberranti. Una corrente di pensiero più recente propende per l’origine dell’eteromorfismo da fenomeni di specializzazione estrema, cioè legata a condizioni particolarissime: una specie di cul de sac evolutivo. Entrambe le teorie non sono però conciliabili con l’evidente successo di queste forme e con la loro notevole diffusione, risultati che implicano:
1) adattamenti vantaggiosi in relazione all’ambiente
2) condizioni ambientali favorevoli ed estese.
La correlazione della comparsa di queste forme con momenti “critici” dal punto di vista evolutivo si può tuttavia considerare corretta.
Ma di cosa stiamo parlando?
Dell’evoluzione delle Ammoniti, gruppo di Molluschi cefalopodi, che ha avuto una evoluzione complessa e una grande diffusione a partire dal Devoniano prima di estinguersi definitivamente nel Cretaceo?
O del Codice dell’ambiente, impianto normativo dalla complessa morfologia apparso nel 2006 e in continuo adattamento alle mutevoli e sempre più spesso emergenziali condizioni “ambientali”?
Della forma idrodinamica del Ceratites (ancora oggi copiata nelle macchine)
e di quella del Nipponites, disordinata, ma solo nell’apparenza, in realtà preordinata su una serie “regolare” di setti a U?
O dell’urgenza di acquisire il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni ambientali vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa, per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo, riconducendo la disciplina nell’alveo della proporzionalità in relazione all’entità degli interventi da realizzare?!
L’esigenza del sopravvivere alle emergenze (economiche, ambientali, politiche,…) giustifica di per sé l’espandersi e il proliferare delle forme eteromorfe nell’impianto normativo?
Riprendiamo un esempio banalissimo già apparso su questo blog negli ultimi tre anni: i riporti, cioè tutti quei materiali, la cui natura è la più eterogenea, che sono stati deposti al suolo e nel sottosuolo direttamente ad opera dell’uomo o a causa delle sue attività ed a vario titolo.
Le città e i villaggi sono costruiti sopra i riporti (…e riporti diventeranno), le nostre reti di servizi essenziali e irrinunciabili sono posati nei “tecno suoli”; materiali di riporto sono anche nelle paludi bonificate, lungo i litorali, nei letti alluvionali dei fiumi, nei laghi delle dighe di sbarramento, nelle discariche.
Gli archeologi cercano le tracce dell’antichità nelle discariche abbandonate da civiltà passate e diventate orizzonti stratigrafici, e pietosi disseppellitori riportano alla cronaca rimuovendo da suoli livellati quel che resiste di scellerati conflitti.
[…] I riporti si configurano come orizzonti stratigrafici costituiti da materiali di origine antropica, ossia derivanti da attività, quali attività di scavo, di demolizione edilizia, ecc, che si possono presentare variamente frammisti al suolo e al sottosuolo. In particolare, i riporti sono per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico.[…].
[…] ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al “suolo” contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito[…]
Due definizioni “simili ma non uguali”; che coesistono nella normativa vigente … in due testi differenti: la prima è riportata nel regolamento del DM 161/2012 e potremmo definirla modello romano, la seconda è stata introdotta con l’art. 41 legge 98/13 a modifica l’art. 3 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28 (Interpretazione autentica dell’articolo 185 del decreto legislativo n.152 del 2006, disposizioni in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti) che qui sublimiamo come modello milanese.
Ancora più avanti, si apprende che:
[…] I materiali da riporto sono stati impiegati per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni. Ai fini del presente regolamento (NdR: DM 161/12), i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%, sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci.[…] (dal modello romano”).
o:
(NdR: le matrici materiali di riporto sono state) […] utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri […] secondo il “modello milanese” costringendo il Ministero per l’ambente, nove mesi dopo l’emanazione del decreto, a fornire “chiarimenti” e a palesare che ritiene opportuno come limite massimo per i materiali eterogenei quello indicato dal DM 161/12, pari al 20%, una volta rilevato che la norma (l’art. 41 l. 98/13) non esclude la presenza nei riporti di rifiuti pericolosi (ad esempio: amianto) e che non stabilisce un limite massimo entro il quale il materiale di riporto può contenere materiali eterogenei) (circolare MATTM 13338/14)….
La prima definizione si applica alla gestione dei materiali da scavo in progetti sottoposti a VIA e AIA, la seconda per tutti gli altri cantieri e alla gestione dei siti contaminati.
È così difficile scrivere una sola definizione per tutti i casi, coerente con la sostanza trattata dalla norma?
No. Non è difficile, ma nuoce all’intera filiera che trae alimento e giustificazione di esistere dalla complessità normativa per la gestione dei rifiuti. Una struttura multiforme, costruita su una serie di concatenazioni continue e sempre in evoluzione tra interessi privati e pubblici, servizi essenziali e procedure paralizzanti, rigidità di interpretazione e rincorsa in emergenza, coesistenza di poteri reali e di arroganti supponenze, connivenze criminali e altrettante criminali indolenze.
……
Il ritorno a forme di tipo ancestrale, elementari nella struttura, dinamiche, perfettamente bilanciate (modello “Ceratites”) è la risposta a condizioni di stress ambientale, e proverebbe la vitalità del gruppo, mentre il cambiamento morfologico, rendendo nel contempo disponibili nuove opportunità di nutrimento e quindi nuove nicchie, causa le ulteriori diffusione e differenziazione delle forme eteromorfe (modello “Nipponites”), poco mobili, trasportate passivamente dalle correnti, non nectoniche ma necto-bentoniche e, nei casi più estremi, totalmente planctoniche.
Ma di cosa stiamo parlando?!
Ma delle Ammoniti,…ovviamente!
Oppure anche di…
Scritto il 22-11-2014 alle ore 06:13
[…] Sostanza e Forma/2 : i materiali di riporto e l’eteromorfismo della norma […]
Scritto il 21-3-2019 alle ore 12:14
ottimo post, commento da Geologo che si occupa di bonifiche e rifiuti. Il Post era del 2014 e purtroppo ad oggi, nel 2019, non si vedono inversioni di tendenza, la telogenesi della specie italica si avvicina