21 marzo 2013
Lettera dal Caucaso
Alexandrovka (Caucaso Settentrionale), Novembre 2012
La pioggia cade monotona, tiepida, scivola dal fogliame saturo. Sto malamente appollaiato sulla biforcazione di un albero, in attesa che i grugniti, permeanti il sottobosco e la spessa atmosfera subtropicale, palesino la loro esatta origine: “maiali inselvatichiti” in visita alle rovine o autentici “porci selvatici” spinti sul terrazzo dal fiume ingrossato dalle piogge autunnali? Entrambi i casi esigono prudenza: mantengo la posizione e traguardo attorno, sospeso a un paio di metri da terra.
Alexandrovka esiste ancora solo sulle carte topografiche di epoca sovietica: il reticolato di vie è regolare, ad angolo retto, ma il razionalismo cede alla morfologia collinare sul lato di monte e le linee rette si interrompono sul bordo del terrazzo fluviale verso valle; da qui la traccia a tornanti si insinua nella boscaglia, subito scomparendo, dove arbusti di melograni, noccioli e carpini e giovani alberi di faggio contendono il terreno a più vecchi alberi da frutto che nessun abitante più nutrono da vent’anni: cachi, mandarini, meli, feijoa,…La traccia porterebbe a un altro piccolo nucleo abitato poche centinaia di metri più in basso dove è un edificio più grande degli altri, forse un magazzino agricolo o una stalla. Così indica la mappa redatta in altri tempi.
Sui lati del reticolo si intravvedono i resti delle abitazioni, tutte rase al suolo, anche il municipio e la scuola; resistono i muri della chiesa. Sul portale in pietra, a metà dell’architrave che attraversa la volta, resiste un bassorilievo: due angeli dal corpo di leone e con sguardi arcigni presediono ai lati, di spalle, una croce intrecciata, sberciata nella parte alta così da apparire come un pugnale.
Nessuna altra traccia del conflitto. La vegetazione ha invaso tutto, si è ripresa in pochi anni tutti quegli spazi che gli Uomini avevano sottratto alla Natura attraverso un altro conflitto, secolare e vitale, per garantirsi un ambiente consono alla dignità che era loro propria, alla vita. Verso Est la strada principale, diritta, esce dal villaggio e attraversa il grande cimitero ortodosso: qui gli alberi affondano le radici dove il terreno è più morbido e le fronde divellono le ringhiere in ghisa. Ogni albero ha un nome e un patronimico. E una storia da raccontare, sino al 1993.
[…]
Folletto. Voglio inferire che gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta.
Gnomo. Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s’è veduto che ne ragionino.
Folletto. Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?
Gnomo. Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?
Folletto. Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna si ha cavato via la benda, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani.
[…]
E bravo Giacomino! Mancavi solo Tu e le tue operette in giorno come questo…
Ammetto, posso essere d’accordo. Sono quasi (quasi) sicuro che la Natura/pianeta/Gaia potrebbe continuare indifferente la sua evoluzione chimica e fisica sopra e sotto la crosta per altri miliardi di anni anche se privata dall’esistenza della (attuale) “Umanità”. Sono meno certo che un’uscita di scena dell’Umanità rappresenti allo stesso modo una vittoria per la Natura, o quanto meno, una “liberazione”, venendole a mancare la coscienza di essere, privata del suo cantore che continuamente ne descrive le meraviglie, quelle stesse che, nel contempo, consuma.
Sono anche poco propenso a pensare con convincimento che in questo ruolo di mentori potremmo essere sostituiti egregiamente da un ratto evoluto, checché affermino i neurofisiologi…..
L’Ambiente come risultato del conflitto è la nozione che personalmente percepisco. La qual cosa mi riporta al punto di partenza:
- l’inevitabile convivenza con nostre contraddizioni (interessi individuali e collettivi, consumo di risorse) e le leggi naturali sempre in evoluzione e così irritabilmente imperfette,
- l’irrinunciabile esigenza del mio nostro spirito a meravigliarmi, incantarmi, ammirare quanto la Natura continuamente costruisce a dispetto della nostra volontà di contenere, registrare, guidare, distruggere….
Scritto il 25-3-2013 alle ore 22:57
Bello ed in utile:la natura non sa leggere e gli uomini sanno solo scrivere in molti modi il proprio epitaffio.