13 luglio 2009
Что Чтобы?
2000 D.C. circa – Età del Bronzo delle bonifiche ambientali.
In una sala comunale affollata si affronta il caso di una fabbrica dismessa ubicata in pieno centro della città. In sala un pubblico eterogeneo per lo più locale con qualche “estraneo”, il “Comitato” del caso, la mamma del: “distribuite l’acqua minerale negli asili!”. Di fronte, quasi al centro del tavolo, messo ben in vista dal sopralzo, il proprietario incolpevole del sito, inquieto, attorniato dai suoi consulenti e, defilati agli angoli, gli amministratori locali. All’ordine del giorno: la presentazione dei primi risultati delle attività di caratterizzazione del sito. Nei giorni precedenti la campagna mediatica aveva portato la temperatura al punto “giusto”: “Pericolo nube tossica dalla…” “L’amianto assassino!” “….. : la falde sono inquinate?”, “Cosa succede dentro la …?!”
Con l’ottusità che è prerogativa dei tecnici rigorosi ed onesti, i consulenti presentano i loro dati, i risultati, le valutazioni… i dubbi, le cose ancora da fare.
Calo rapido dell’interesse in sala, brusii, commenti a scena aperta, innesco di conflitti, i primi insulti.
È il turno dell’ultimo dei consulenti: questi non dice una parola, fa spegnere le luci in sala e avvia la proiezione di un video. Nove minuti circa, non un commento una spiegazione un dato, solo immagini da “dentro” il sito e un sottofondo di musica. Si vedono uomini (e donne!) che lavorano attenti e sereni, strumenti che registrano, macchine che si muovono precise in una situazione “da incubo”.
Dopo i primi brusii e risatine, in sala cala il silenzio. Nel buio il consulente gira tra le fila e capta i segnali.
Fine della proiezione. Luci accese, ancora silenzio, scricchiolio di qualche sedia, colpetti di tosse. Si suda. Il presidente del ”Comitato” si alza (finalmente!) e: “Vabbè! È davvero un bel casino! Tutti quei rifiuti … quei veleni. Che dire? Cosa possiamo fare? Siamo nelle vostre mani. ”
Touché!
Quante volte, in una situazione di crisi, ci si è ripresentato l’enigma:
Che fare?
Che fare quando l ‘assenza di certezze, tenuto conto delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento, non deve ritardare l’adozione di misure effettive e proporzionate miranti a prevenire un rischio di danno grave e irreversibile all’ambiente a un costo economicamente accettabile?
Che fare se è facoltà dei responsabili politici decidere se e come agire di conseguenza una volta esaminati i risultati della valutazione scientifica in funzione del livello di rischio reputato inaccettabile per la società?
Che fare se siamo coscienti che la certezza scientifica non esiste, in quanto è proprio del dubbio che si alimenta la ricerca, che non potrà mai essere data una risposta “finale” ai quesiti che arrivano dalla “gente”?
È un conflitto che rischia di non avere fine, dove è possibile continuare all’infinito con i “ma” , i “però” i “se”.
Ma questi sono i cardini sul quale è imperniato l’esercizio del principio di precauzione. Quando la gestione del rischio si richiama a questo principio, è su questi che il professionsita deve montare l’esercizio del ruolo che gli è proprio.
Quindi: o non si porta avanti un’azione se non vi è la prova che non è nociva (“evitare di agire quando l’azione potrebbe essere rischiosa”); o la mancanza di assolute certezze scientifiche non è di per sé un valido motivo per evitare l’adozione di determinate cautele ma, di fatto, ciò impone anche di scegliere comunque alternative meno rischiose, se disponibili, e di assumere responsabilità per i potenziali rischi, misure che devono essere proporzionali ai risultati e sostenibili economicamente.
La gestione del rischio presuppone sempre la sua la valutazione e la comunicazione.
Alla comunicazione è spesso attribuita una valenza minore o, semplicemente, la comunicazione è temuta. Perché come ho già avuto modo di commentare in altra sede (http://marziomarigo.postilla.it/2009/06/29/rischio-percepito-o-effettivo/) la “gente” (anche noi professionisti, in quanto parte del magma umano) procede per scorciatoie mentali che la porta a mostrarsi “razionalmente ignorante” e di conseguenza, assimila in modo difforme i risultati della valutazione, secondo parametri non “oggettivi”.
La comunicazione deve invece essere incisiva, deve “bucare”. Si possono impiegare gli stessi metodi e linguaggi della comunicazione di massa, ma l’uso del “silenzio attivo” può portare a risultati più solidi e…di minor costo.
Adattando gli insegnamenti di Sun Tzu “..l’uso del fuoco ( i sentimenti) è segno di forza, l’uso dell’acqua (il silenzio attivo) è segno di potenza”. Emozionare e contemporaneamente saper ascoltare (e con un pizzico di fortuna, anche, che non guasta) portano alla vittoria.
Anche quando si tratta di combattere contro i fantasmi, come i campi elettromagnetici evocati da Nicola Carrera nel suo commento a “Dietro lo Specchio”.
P.S.: sono passato dal sito dopo anni; la riqualificazione urbana è stata completata; sull’area sorgono uffici, centri di servizio, residenze. L’intero quartiere che vi gravita intorno è cambiato, è tornato a vivere.
Il “barino” dove le squadre andavano a rifocillarsi è quasi irriconoscibile. Hanno cambiato gli arredi e c’è clientela “nuova”. La mia attenzione è catturata da un quadretto appeso a una delle pareti: è una foto, scattata dal bar, che ritrae la squadra sospesa a 40 metri di altezza mentre controlla le condizioni della ciminiera. Anche la barista guarda la foto. C’è del tenero nello sguardo.