12 giugno 2009
Siti contaminati: è bonaccia
Dopo due anni di vento teso, rincorrendo le mutazioni del Codice dell’Ambiente, il comparto dei siti contaminati è in calma piatta.
Il conflitto ambientale continua altrove, non più in campo aperto, in un grumolo di rappresaglie e attacchi mordi e fuggi, là dove c’è più sostanza: i rifiuti. Gli ultimi fuochi di coda hanno interessato solo di striscio le bonifiche con la 9/2009 e la 13/2009, in rassegnata attesa dell’arrivo dei costosi pacemakers sotto forma di sanzioni UE.
L’impianto normativo, impostato sul titolo quinto della parte quarta del decreto legislativo 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni (… respiro) è fermo alle condizioni di godimento e sofferenza comuni agli altri comparti del “testone” (… sospiro) e collegare la parte quarta con la sesta crea il cortocircuito. Nulla lascia presupporre un lavoro di rielaborazione e di ripensamento, pure se dovuto e possibile nelle maglie della legge delega.
E sul fronte operativo? È vero: non tutti i giorni possono essere inventate nuove tecniche di bonifica; ma non tutti i casi di inquinamento possono essere risolti con un’analisi del rischio sito specifica e la gestione della messa in sicurezza operativa richiede tecniche adeguate ai tempi lunghi. È incontrovertibile che una bonifica è sempre un processo tecnico ed amministrativo lungo, complesso e non privo di rischi nel conseguimento degli obiettivi; ma non può diventare un punto fisso dei programmi elettorali locali per decenni.
OK, ammettiamolo in piena coscienza: è decadenza, è fine impero. Su tutto pare sia calato un manto di pigrizia, di inerzia: si tambureggia sui faldoni di progetti avviati, si fatica a ricevere preventivi, si rimandano decisioni e pareri, si bamboleggia sui solleciti, in una atmosfera appiccicosa di complicità nel sentirsi inutili.
Unici sempre attivi, solo per contrasto, più visibili nel grigiore, sono i “soliti noti” con la bustina dei batteri mangia-tutto-anche-i-PCB o con la foto dell’impianto, inattivo sì, ma “ultima generazione”, come se esistesse una legge della meccanica che sancisca l’automatico miglioramento delal tecnica al passaggio da una generazione alla successiva.
I media si autopromuovono nel cordoglio: un temporale e la regione “è in ginocchio”, una fumata ed è “nube tossica”, una scossa di terremoto e la Terra è “assassina”, un accumulo di rifiuti negligentemente (o scientemente?) lasciato a margine di una strada sempre “incombe sulla popolazione”, un conflitto lampo e le “ambulanze corrono sui luoghi” (con scritte in ebraico… in terra georgiana ?!).
Nondimeno questo è il momento di respirare, riflettere, inventare, osare. Come sempre d’altronde, come in tutte le cicliche decadenze che si sono ripetute ad Occidente e ad Oriente. È vero. “Le avventure fanno fare tardi a cena…” ma l’ultimo dei poemi epici d’Occidente prende avvio proprio da questa convinzione.
E allora, da dove iniziamo?
Dalla multifunzionalità delle acque e dall’incongruenza tra valori di accettabilità per le acque da destinarsi al consumo umano (D.Lgs 31/2001) e CSC per le acque sotterranee (D.Lgs. 152/2006)?
Dalla correzione dei valori errati di CSC, “taglia&incolla” immutati dalle tabelle in auge il secolo scorso (il DM 471 era del 1999)?
Dalla elaborazione di un allegato tecnico per la elaborazione dell’analisi del rischio ambientale e sanitario sito-specifica, scevra da incursioni non ortodosse nel testo (vedi le uniche modifiche apportate alla parte quarta del “Correttivo Unificato”) e nel rispetto delle linee guida internazionali?
Scritto il 24-6-2009 alle ore 08:36
A riguardo della differenza fra CSC ed i valori di accettabilità delle acque destinate al consumo umano allora contraddice il teorema n°1 del famoso Paracelso che affermava che “la differenza fra veleno e farmaco risiede unicamente nella dose” ma allora andrà integrato con il teorema n°2: “stessa dose differente risultato”…
Spero solo che nel prossimo fturo le Leggi le rileggano dopo averle copiate.
Saluti